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    Percorso Formativo 2018

    PRESENTAZIONE DEL PERCORSO FORMATIVO 2018-19

    IL VANGELO DEL DESIDERIO.

    LE DOMANDE CHE APRONO SENTIERI

     

     

    DISTANZE DA ABITARE

     

    C’è un’espressione che, con una sintesi significativa, descrive chi dovremmo essere soprattutto come cristiani laici: operai feriali del Vangelo. Questa immagine ci rimanda all’instancabile richiamo di papa Francesco ad una “conversione missionaria” di tutto il nostro agire tenendo come unica ed autentica bussola il Vangelo affinché divenga una conversione che tocchi in modo incisivo prima di tutto la nostra quotidianità.

     

    Queste sono le domande che in Consiglio ci siamo posti per verificare quanto tutto questo ha inciso nella nostra vita e nella vita delle fraternità che siamo chiamati ad animare: a che punto siamo dopo questo accorato appello? Chi ha avviato processi di reale cambiamento? Quante energie e risorse abbiamo realmente investito? Non possiamo rispondere per tutti, ma il “sogno di papa Francesco” ci risuona dentro con insistenza: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa” (EG 27).

    E davanti a questo sogno non vogliamo tirarci indietro, è questo il sogno che vogliamo abbracciare insieme a tutta la Chiesa. Abbiamo però bisogno di recuperarlo continuamente, di sentircelo addosso, di farlo diventare “il nostro sogno”.

    “E soprattutto, sogna! Non avere paura di sognare. Sogna! Sogna un mondo che ancora non si

    vede, ma che di certo arriverà” (papa Francesco).  Papa Francesco sogna una Chiesa sognatrice, capace di farsi casa della speranza! Sognatrice non perché prenda le distanze dalla complessità della realtà o perché debba evadere dalla storia, ma per rendersi capace di immettere nelle cose un progetto più alto dell’oggi, che guarda più avanti del presente.

    Qualcuno dice che dovremmo assomigliare a Giuseppe: capaci di “tenere insieme la mani callose e i sogni”: ecco gli operari feriali del Vangelo! Ma ci rendiamo subito conto che l’esperienza di vita è fatta di  una molteplicità di distanze da intercettare affinché quel sogno diventi la nostra realtà quotidiana.

     

    “Tenere le distanze” è una tentazione che avvertiamo molto potente e incarnare quel sogno è difficile perché vogliamo garantirci sempre una “distanza di sicurezza” che ci consenta di non contaminarci, di non andare fino in fondo, di mantenere vie di fuga! E le distanze sono tante: siamo a volte distanti da noi stessi, spaccati dentro; siamo distanti dagli altri o veniamo tenuti a distanza; siamo distanti da Dio, lo sentiamo lontano dalla nostra vita.

    In fondo abbiamo paura di tenere le porte aperte, di andare incontro, di abbracciare, di toccare, di accogliere, ma anche di farci abbracciare, di lasciarci avvicinare e toccare, di essere accolti.  Forse siamo ben lontani dall’essere quell’”ospedale da campo” che è sempre preferibile all’immobilismo  e alle abitudini che ci rendono freddi e noiosi.

    Per il percorso formativo che ci accompagnerà nel prossimo triennio, abbiamo scelto di contemplare il verbo “abitare” perché è la scelta stessa di Gesù, è una scelta divina. È lui che per primo ha scelto di “abitare” tra noi, di porre la sua tenda in mezzo a noi. Davanti ad ogni tipo di distanza Gesù sceglie sempre di abitarle, sceglie l’incontro.

    Abitare è invito a “stare”, a “rimanere”, ad essere quella “presenza” che vogliamo qualifichi la nostra identità.

     

    Anche dall’Evanglii Gaudium emerge con forza che “abitare” non è un verbo che indica semplicemente qualcosa che si realizza in uno spazio; non si abitano solo luoghi, ma soprattutto relazioni. Abitare richiama un forte dinamismo: prima di entrare ed abitare, si esce!

     

    Anche il Congresso Ecclesiale di Firenze, riprendendo l’Esortazione, ha declinato attraverso cinque vie la direzione da intraprendere per abitare le distanze che sono strutturali, o che si creano, nelle relazioni: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Sono verbi che definiscono uno stile, richiedono una autentica conversione e scelte audaci!

     

    Con questa terza “via” suggerita dal Convegno Ecclesiale si entra pienamente nel cuore del Vangelo! Uscire è necessario per farci prossimi e vivere la spinta missionaria che ci fa essere Chiesa; abitare (fare casa) è il modo concreto per servire ed annunciare il Vangelo della gioia. Senza abbracciare la carne ed incrociare lo sguardo di chi incontriamo, ogni prossimità rischia di essere virtuale e lontana dalla logica dell’incarnazione. Abitare la prossimità è lo stile di Gesù.

    L’abitare, per noi cristiani, è anzitutto un “farsi abitare da Cristo, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro”.

     

    Queste poche pennellate motivano la scelta del percorso formativo che ci guiderà in questo triennio; sono i passi che vogliamo fare per essere pienamente, e sempre più concretamente, una presenza portatrice di vita e di speranza nel mondo di oggi. Dobbiamo aiutarci a stare, ad abitare il mondo con uno stile che apra sentieri nuovi e costruisca ponti, che sappia parlare con quella tenerezza rivelatrice del vero volto del Padre. Non si tratta di occupare spazi, ma di reimparare ogni giorno a lasciarsi incontrare dal Signore e divenire a nostra volta incontro.

     

    UN CAMMINO EVANGELICO

     

     

    Il percorso di formazione della fraternità dell’Ordine Francescano Secolari ‘d’Italia, come ogni cammino formativo, deve essere evangelico: sia perché ha per obiettivo orientare i nostri passi sulle orme del Signore, ma anche nel senso che ci deve portare ad “essere vangeli”, buone notizie per chi ci incontra. “Il Vangelo è un libro aperto dove continuare a scrivere con gesti concreti d’amore”, dice papa Francesco.

    È  necessario continuare a scrivere il vangelo, ma spesso non ci accorgiamo e ci sfuggono tutte quelle pagine di vangelo che riceviamo in dono! Quanto vangelo ci passa accanto, tocchiamo con le nostre mani, balza al nostro sguardo, e noi … siamo incapaci di riconoscerlo! C’è una conversione dello sguardo che potrebbe aiutarci ad abitare tante distanze.

    In noi c’è una naturale tendenza all’apertura perché fa parte della struttura del nostro essere che è naturalmente orientato alla relazione, alla scoperta dell’altro, al dialogo; ma questo ci rende uomini e donne capaci di” vivere l’incontro”, di “essere incontro”?

    “La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri”, ci ha ricordato papa Francesco.

    C’è un vangelo della “porta accanto” che aspetta di essere riconosciuto e portato alla luce per annunciare ancora oggi che il Signore continua ad abitare in mezzo noi; c’è un vangelo che ci raggiunge da terre lontane che chiede di essere accolto e “messo sul moggio” per contribuire a fare luce all’intera umanità; c’è un vangelo in me che attende spazi e tempi in cui fiorire affinché possa edificare quel Regno che Cristo è venuto a portare.